"Belle, Grandi e Rarissime Specie"
La vita e le ricerche di Francesco Coppi
Per avere più informazioni sulla biografia di Francesco Coppi leggi:
"Un naturalista indagatore degli avvenimenti terrestri" scritto da Nicola Caleffi © 2007 Comune di Maranello
Francesco Coppi
Fu l’interesse per la natura a spingere Francesco Coppi ad interessarsi ai suoi misteri e alle sue meraviglie della natura sin da giovanissimo, quando era ancora adolescente. Crebbe ed iniziò le sue esplorazioni lungo le colline dell’Appennino modenese, fin dal 1854, quando aveva appena undici anni lo ricorda nel 1869: “È già trascorsa una quindicina di anni circa da che io incominciai a percorrere alcuni di questi colli subapennini, ricercando i fossili che in certe località speciali di essi si presentano con molta frequenza, cioè là dove l’azione denudante delle acque si manifesta..”
Francesco Coppi nacque nel 1843, da Giuseppe e Caterina Coppi originari di Fiumalbo. Ebbero quattordici figli, di cui ne sopravvissero sette tra cui Francesco era il più giovane. Storicamente i Coppi erano legati agli Este: sotto il governo degli Austro-Estensi (1814-1859) Giuseppe Coppi ricoprì ruoli amministrativi di primo piano. Studiò all’università di Modena, dove si laureò in legge nel 1820 ed entrò a far parte della magistratura nel 1822. Nel 1859 nel periodo successivo alla caduta degli Estensi Giuseppe Coppi si ritirò a vita privata nella sua casa di Gorzano (Maranello),
acquistata dieci anni prima: vi rimarrà fino alla morte, nel 1874. Nel periodo successivo alla caduta degli Estensi la sua famiglia,di forte tradizione cattolica, continuerà a cercare un legame stabile con la Chiesa e la sua opposizione al liberalismo risorgimentale avrà anche una grande influenza sulle convinzioni politiche del figlio Francesco. La seconda metàdel XIX secolo fu un’epoca di transizione, sospesa tra tradizione e modernità: la Chiesa aveva un ruolo determinante nella formazione delle coscienze, ma il positivismo si affermava come un nuovo paradigma di interpretazione della realtà, influenzando non solo l’ambito delle scienze, ma anche la sociologia, la letteratura e le arti. Coppi era un naturalista, uno scienziato della natura, ma era anche un uomo profondamente legato agli ideali della tradizione. Per tutta la vita cercò di fare convivere con il suo cattolicesimo le teorie che scaturivano dalle sue osservazioni.
La Villa di Gorzano: importante punto di partenza. Intorno alla metà dell’Ottocento il territorio di Maranello era già noto agli studiosi di archeologia e a Gorzano era sufficiente scavare alcuni metri nel sottosuolo perché emergessero reperti di epoche molto diverse lontane tra loro. Tutto intorno le prime colline dell’Appennino Modenese, al limite della pianura, la possibilità di trovare tantissimi tipi differenti di reperti fossili, risalenti nella maggior parte all’epoca Pliocenica
(5,3 - 1,8 milioni di anni fa). Una grandiosa trasgressione marina, ossia l'invasione del mare su terre precedentemente emerse, siglò l'inizio di quest'epoca, a seguito della quale un profondo golfo marino si stabilì nell'area dell'odierna pianura padana, e la sua la linea di costa disegnava ai piedi dell'Appennino numerose insenature. All'inizio del Pliocene il clima piuttosto caldo favorì la vita di specie marine di ambiente subtropicale, tra cui numerosi molluschi tipici di ambienti più caldi dell'attuale Mediterraneo, i cui resti sono rimasti tra le rocce come preziosa testimonianza fossile. |
I fossiliI fossili (dal latino fodere, scavare) erano noti fin dall’antichità classica, la tradizione aristotelica aveva visto nei fossili delle «meraviglie di natura», ma solo nel XVII secolo sono stati identificati come resti di organismi vissuti nel passato.
Si deve allo svedese Stenone la prima compiuta teorizzazione dei fossili come resti di animali vissuti nel passato la cui datazione poteva seguire una cronologia razionale, in accordo con la Scrittura. Anche nel mondo scientifico continuava però ad essere opinione diffusa che dal primo giorno della Creazione le specie animali e vegetali erano rimaste inalterate: la vita, dal momento della sua comparsa, era rimasta sostanzialmente immutata. Era il «fissismo», non v’era contraddizione tra la storia naturale e l’autorità divina. Proprio nel corso del XVII secolo si erano sviluppate le prime collezioni. Potete cliccare qui per scaricare gratuitamente testi antichi in PDF scritti dai Naturalisti più importanti del diciannovesimo secolo. |
Scopri tutti i cassetti della collezione
Darwinismo a Modena
Giovanni Canestrini
Quando Francesco Coppi iniziò a studiare i reperti fossili da lui raccolti esplorando l’Appennino modenese aveva già alle spalle un dibattito lungo e complesso sulla natura di questi reperti. Dopo aver frequentato le scuole pubbliche nei locali dell’ex collegio gesuita di San Bartolomeo, Coppi si iscrisse all'università di Modena dove si laureò in scienze naturali nel 1867.
Nel 1864 fu pubblicata a Modena dall’editore Nicola Zanichelli la prima traduzione italiana del libro di Darwin “Sull’origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza” tradotta da Giovanni Canestrini e Leonardo Salimbeni.
L’origine delle specie di Charles Darwin era stata pubblicata a Londra il 24 novembre 1859, Uno dei punti più discussi della teoria era che nel processo dell’evoluzione non vi era alcun disegno prestabilito, l’intero meccanismo si reggeva sulla casualità: si trattava della spiegazione del mondo vivente unicamente mediante cause naturali. La natura era una catena immutabile di cause ed effetti materiali: al provvidenzialismo (il «continuo operare» della volontà di Dio) si sostituivano le cause naturali, «accidenti di adattamento» che si verificavano in un mondo governato da leggi e non chiamavano in causa la responsabilità di Dio.
Come a Londra e a Torino, anche a Modena i fautori dell’evoluzionismo furono tacciati di essere «avvocati delle scimmie», sostenitori di una presunta «scimmiofilia» o «teoria dell’uomo scimmia» che non poteva essere tollerata dalla cultura cattolica.
Nel 1864 fu pubblicata a Modena dall’editore Nicola Zanichelli la prima traduzione italiana del libro di Darwin “Sull’origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza” tradotta da Giovanni Canestrini e Leonardo Salimbeni.
L’origine delle specie di Charles Darwin era stata pubblicata a Londra il 24 novembre 1859, Uno dei punti più discussi della teoria era che nel processo dell’evoluzione non vi era alcun disegno prestabilito, l’intero meccanismo si reggeva sulla casualità: si trattava della spiegazione del mondo vivente unicamente mediante cause naturali. La natura era una catena immutabile di cause ed effetti materiali: al provvidenzialismo (il «continuo operare» della volontà di Dio) si sostituivano le cause naturali, «accidenti di adattamento» che si verificavano in un mondo governato da leggi e non chiamavano in causa la responsabilità di Dio.
Come a Londra e a Torino, anche a Modena i fautori dell’evoluzionismo furono tacciati di essere «avvocati delle scimmie», sostenitori di una presunta «scimmiofilia» o «teoria dell’uomo scimmia» che non poteva essere tollerata dalla cultura cattolica.
Creazionismo
Celestino Cavedoni
A Modena tuttavia, almeno in quel momento, il darwinismo fece fatica ad affermarsi, anche per l’influenza, ancora molto forte, di un personaggio legato alla tradizione come Celestino Cavedoni: la teoria di Darwin significava che all’origine della vita sulla terra non c’era più il Dio della Genesi, bensì le cieche leggi della natura. Cavedoni rappresentava ancora un’autorità incontrastata negli studi sull’antichità – era non solo l’archeologo più autorevole dell’Emilia, ma una figura di spicco anche a livello nazionale ed europeo. Un primato che l’arrivo a Modena di Giovanni Canestrini nel 1862 contribuì a mettere parzialmente in discussione. Il suo arrivo a Modena segnò un punto di svolta per Francesco Coppi. Il giovane e appassionato ricercatore, sotto la guida di Canestrini, poté ricoprire i propri interessi di un’adeguata veste scientifica.
Il professore trentino, dal canto suo, riorganizzò il Museo di storia naturale dell’università, sorto nel 1776 per volontà di Francesco III d’Este, e raccolse intorno a sé i docenti di scienze naturali e i naturalisti dilettanti come Coppi.
Il professore trentino, dal canto suo, riorganizzò il Museo di storia naturale dell’università, sorto nel 1776 per volontà di Francesco III d’Este, e raccolse intorno a sé i docenti di scienze naturali e i naturalisti dilettanti come Coppi.
Coppi contro Darwin
L'opinione del Coppi sulla Teoria di Darwin è chiaramente esposta nel suo scritto:
"Osservazioni malacologiche circa la Nassa semistriata e N. costulata del Brocchi (1881)" .
Il confronto tra centinaia di esemplari delle due specie della nassa (semistriata e costulata) servì a Coppi per affermare la loro sostanziale uniformità: «presi ad esame pochi campioni delle due supposte specie ne può riuscire facile e palese la differenza», scrisse, «ma se si cominciano ad osservare parecchie centinaia ed anche migliaia di esemplari… allora le mutue diversità per graduazioni svaniscono e non si possono in conto alcuno distinguere». Le due specie dunque erano apparentate in una unica, «con una serie di più o meno distinte varietà», contrariamente a quanto affermavano «i fautori della teoria darwiniana o della variabilità della specie», che Coppi bollò come «vaga supposizione»: «per chi non accetta tale teoria», scriveva, «sarà meglio costituire un’unica specie ammettendo le differenze di tipo, perché non costanti, come altrettante varietà o sottovarietà della medesima».
"Osservazioni malacologiche circa la Nassa semistriata e N. costulata del Brocchi (1881)" .
Il confronto tra centinaia di esemplari delle due specie della nassa (semistriata e costulata) servì a Coppi per affermare la loro sostanziale uniformità: «presi ad esame pochi campioni delle due supposte specie ne può riuscire facile e palese la differenza», scrisse, «ma se si cominciano ad osservare parecchie centinaia ed anche migliaia di esemplari… allora le mutue diversità per graduazioni svaniscono e non si possono in conto alcuno distinguere». Le due specie dunque erano apparentate in una unica, «con una serie di più o meno distinte varietà», contrariamente a quanto affermavano «i fautori della teoria darwiniana o della variabilità della specie», che Coppi bollò come «vaga supposizione»: «per chi non accetta tale teoria», scriveva, «sarà meglio costituire un’unica specie ammettendo le differenze di tipo, perché non costanti, come altrettante varietà o sottovarietà della medesima».
Nel 1865 il Coppi aveva partecipato alla fondazione della Società dei Naturalisti di Modena:
insieme a lui c’erano, tra gli altri, Canestrini (che ne fu il primo presidente), Leonardo Salimbeni, professore di fisica terrestre e di scienze naturali al Collegio San Carlo di Modena e Giovanni Generali, direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria.
Lo scopo della società era la promozione dello studio delle scienze naturali, soprattutto negli aspetti legati al territorio circostante.
Sin dall’inizio, lo strumento principale di divulgazione delle attività dei naturalisti modenesi fu l’«Annuario», una rivista scientifica che raccoglie le comunicazioni dei soci, e che nel1868 ospitò il primo scritto di Coppi,
Cenni su alcuni fossili cristallizzati e su la località loro, ove si rinvengono nel Modenese.
insieme a lui c’erano, tra gli altri, Canestrini (che ne fu il primo presidente), Leonardo Salimbeni, professore di fisica terrestre e di scienze naturali al Collegio San Carlo di Modena e Giovanni Generali, direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria.
Lo scopo della società era la promozione dello studio delle scienze naturali, soprattutto negli aspetti legati al territorio circostante.
Sin dall’inizio, lo strumento principale di divulgazione delle attività dei naturalisti modenesi fu l’«Annuario», una rivista scientifica che raccoglie le comunicazioni dei soci, e che nel1868 ospitò il primo scritto di Coppi,
Cenni su alcuni fossili cristallizzati e su la località loro, ove si rinvengono nel Modenese.
Nel 1869 Coppi diede alle stampe la sua prima opera, il Catalogo dei fossili miocenici e pliocenici del modenese, pubblicato come estratto dell’«Annuario della Società dei Naturalisti» dalla Tipografia dell’Erede Soliani di Modena. aveva raggiunto la ragguardevole cifra di 1153 esemplari, di cui circa la metà (692) erano stati «determinati», con derivazione dal sistema di Linneo.
Altre fonti erano studiosi come il tedesco Moriz Hörnes (un’opera sui molluschi del periodo Terziario) e gli italiani Bellardi e Michelotti, autori di monografie sui fossili del Piemonte e dell’Italia settentrionale. Coppi aveva iniziato a raccogliere fossili intorno alla metà degli anni Cinquanta, ma l’attività di estrazione, realizzata faticosamente a colpi di «zappone» e «scalpello», si era intensificata nell’ultimo periodo, quando le «piccole escursioni» avevano trovato anche la collaborazione dei fratelli. Le perlustrazioni erano avvenute nelle zone di Maranello, Levizzano e Sassuolo e avevano interessato i rilievi collinari e i corsi d’acqua che li lambivano. La località che destava più stupore era Monte Gibbio, nei pressi di Sassuolo, un luogo «che forma l’ammirazione di tutti»: a Montegibbio molti resti fossili hanno lasciato la splendida testimonianza di un intervallo di tempo particolare, il Tortoniano (tra gli 11,2 e i 7,1 milioni di anni fa). Dal punto di vista paleontologico, Montegibbio è noto agli specialisti per aver fornito le più belle faune di invertebrati marini di quell'età.
Altre fonti erano studiosi come il tedesco Moriz Hörnes (un’opera sui molluschi del periodo Terziario) e gli italiani Bellardi e Michelotti, autori di monografie sui fossili del Piemonte e dell’Italia settentrionale. Coppi aveva iniziato a raccogliere fossili intorno alla metà degli anni Cinquanta, ma l’attività di estrazione, realizzata faticosamente a colpi di «zappone» e «scalpello», si era intensificata nell’ultimo periodo, quando le «piccole escursioni» avevano trovato anche la collaborazione dei fratelli. Le perlustrazioni erano avvenute nelle zone di Maranello, Levizzano e Sassuolo e avevano interessato i rilievi collinari e i corsi d’acqua che li lambivano. La località che destava più stupore era Monte Gibbio, nei pressi di Sassuolo, un luogo «che forma l’ammirazione di tutti»: a Montegibbio molti resti fossili hanno lasciato la splendida testimonianza di un intervallo di tempo particolare, il Tortoniano (tra gli 11,2 e i 7,1 milioni di anni fa). Dal punto di vista paleontologico, Montegibbio è noto agli specialisti per aver fornito le più belle faune di invertebrati marini di quell'età.
Come opera prima di un naturalista, il Catalogo fu un successo:
all’epoca pochi ricercatori potevano vantare una collezione vasta come quella di Coppi.
Il libretto fu salutato con favore dai colleghi modenesi ed italiani e suscitò interesse anche all’estero
…”Se il monte della Torre Tagliata ed il suo rio Grizzaga, con i loro monumenti della natura antica vivente, possono soddisfare il paleontologo nelle sue ricerche; meglio ciò si può riferire ad altro monte, che dà monumenti anche di una antichità realmente maggiore, voglio a dire a Montegibio con i suoi tre principali rii della Cianca, della Fossetta e del Videse”…
“... tavole egregiamente delineate al vero dal mio fratello Ing. Dott. Giovanni …”
La collezione di fossili era fonte di guadagno per Francesco coppi, che commerciava in fossili a livello nazionale e internazionale. “Il sito di San Venanzio, Maranello, [..]è oggi caratteristico per la specificità di una fauna ed una flora di cui ho rinvenuto complessivamente 442 campioni, 260 filliti, 84 crostacei, 80 echinodermi….” “Questa rara e unica raccolta di flora modenese si vende per 600 lire e si compone ora (1885) di 360 esemplari di sole filliti…..” (Coppi, 1885) |
La mancata carriera accademica
Carlo Boni
Il Dottor Francesco Coppi non riuscì però a proseguire la sua carriera accademica all'Università. I motivi dell’esclusione dal corpo accademico possono essere ricercati nel suo carattere scontroso, poco incline alla diplomazia, che presto si manifesterà in aspre polemiche con i colleghi, che il Coppi non mancava di pubblicare nei suoi scritti, offendendo pubblicamente i suoi avversari:
Inoltre le convinzioni politiche: fortemente influenzato dal padre, e idealmente ancora legato al passato regime, Coppi era un conservatore in un periodo in cui il mondo scientifico dava maggiore credito a chi si faceva portatore di idee di stampo liberal democratico. Non deve avere aiutato nemmeno l’allontanamento da Modena di Giovanni Canestrini, la persona che in quegli anni lo aveva più sostenuto all'interno dell’università: nel 1869 il professore lasciò la cattedra di storia naturale per quella di zoologia, anatomia e fisiologia comparata a Padova. Alla guida della Società dei Naturalisti lo sostituì nel 1870 Carlo Boni (in seguito fondatore e primo direttore del Museo Civico di Modena), un appassionato di studi naturalistici che, come Coppi, aveva messo insieme una importante collezione. In quel periodo Coppi divenne anche corrispondente dell’Imperiale Reale Istituto Geologico di Vienna, il primo di una lunga serie di incarichi presso varie accademie e società che si vedrà attribuire nel corso degli anni.
Gli oggetti finiranno poi nel Museo Civico di Modena, fondato nel febbraio del 1871 proprio dal Boni.
Inoltre le convinzioni politiche: fortemente influenzato dal padre, e idealmente ancora legato al passato regime, Coppi era un conservatore in un periodo in cui il mondo scientifico dava maggiore credito a chi si faceva portatore di idee di stampo liberal democratico. Non deve avere aiutato nemmeno l’allontanamento da Modena di Giovanni Canestrini, la persona che in quegli anni lo aveva più sostenuto all'interno dell’università: nel 1869 il professore lasciò la cattedra di storia naturale per quella di zoologia, anatomia e fisiologia comparata a Padova. Alla guida della Società dei Naturalisti lo sostituì nel 1870 Carlo Boni (in seguito fondatore e primo direttore del Museo Civico di Modena), un appassionato di studi naturalistici che, come Coppi, aveva messo insieme una importante collezione. In quel periodo Coppi divenne anche corrispondente dell’Imperiale Reale Istituto Geologico di Vienna, il primo di una lunga serie di incarichi presso varie accademie e società che si vedrà attribuire nel corso degli anni.
Gli oggetti finiranno poi nel Museo Civico di Modena, fondato nel febbraio del 1871 proprio dal Boni.
La Terramara di Gorzano
Sezione e planimetria della «terramara» di Gorzano rilevate nel 1867
Per gli archeologi la zona di Maranello più interessante, sotto molti punti di vista, era Gorzano. Nei primi decenni dell’Ottocento, a partire dal 1830, quest’area collinare era sfruttata come cava di terriccio fertilizzante e gli scavi avevano portato alla luce alcuni oggetti.
Francesco Coppi affrontò per la prima volta il tema della terramara nel 1870, nella
Relazione di una nuova importante scoperta ed osservazioni sulla Terramara di Gorzano.
Per Coppi «Questa località della Terramare fu sempre rispettata e sacra per gli antichi cristiani quale cimitero, ma anche per i Romani». A sostegno della propria tesi citava una vera autorità in materia archeologica come Celestino Cavedoni: in parte, la terramara era costituita da «avanzi di roghi o luogo di cremazione dei cadaveri, come giustamente pretese il nostro omai fu sommo archeologo il Cavedoni ne’ suoi Cenni Archeologici intorno alle Terremare nostrane». Come Cavedoni, Coppi negava il carattere preistorico della terramara: il deposito mariero era stato «originato dagli avanzi de’roghi» e «fu in gran parte almeno, se non in tutto, opera del popolo romano»; queste osservazioni erano state «dedotte dalla realtà dei fatti».
Il Boni aveva criticato Coppi prendendo posizione a favore della teoria degli «avanzi di abitazioni» e mettendo in dubbio la scientificità del lavoro effettuato a Gorzano (per Boni il terreno era stato rimaneggiato, e forse per Coppi non poteva esserci accusa peggiore). Questa loro bagarre avrà gravi effetti per il Coppi, come si vedrà nel 1971 in occasione dell’importantissimo Congresso di Bologna Una sessione italiana del Congresso internazionale (che dal 1866 si era tenuto in Svizzera, Francia, Inghilterra e Danimarca) Bologna fu scelta per la vicinanza ad importanti depositi, tra cui quelli terramaricoli della province di Modena, Reggio e Parma.
Nell'idea degli organizzatori la sessione bolognese rappresentava, anche dal punto di vista politico, la consacrazione della nuova Italia, un paese libero in cui poteva manifestarsi il pensiero laico, e in cui la libertà nazionale diventava la condizione per una autentica libertà della scienza. Per uno studioso legato alla tradizione cattolica come Coppi il Congresso di Bologna deve avere rappresentato uno smacco, e anche l’inizio di un progressivo isolamento. Il convegno infatti sancì la definitiva affermazione di un nuovo paradigma per la ricerca archeologica, ormai decisamente orientata verso le nuove tesi a sostegno delle origini preistoriche dell’uomo.
Scomparso da ormai qualche tempo Celestino Cavedoni, Coppi deve essersi trovato nella posizione di emarginato all’interno della comunità scientifica che sempre più credeva nelle teorie dell’evoluzionismo darwiniano.
Ed è significativo che tra le pubblicazioni scientifiche offerte ai congressisti comparisse proprio l’opuscolo di Boni e Generali sulle terremare modenesi, ma non la Monografia di Coppi, che pure nel 1871 rappresentava lo studio più completo e dettagliato sul tema, almeno dal punto di vista del rigore scientifico e delle osservazioni geologiche.
La Monografia non era citata nemmeno nella relazione ufficiale che accompagnava l’esposizione, dove si faceva il punto sullo stato dei rinvenimenti archeologici in tutta Italia; nel documento si spendeva invece «una speciale parola di lode» per Boni, che peraltro era uno dei componenti della stessa commissione incaricata di preparare la mostra (Il libro di Coppi, ma anche opere di altri autori, era assente pure dalla bibliografia dei lavori preistorici preparata da Pigorini). Evidentemente, le sue tesi erano già mal tollerate dalla nuova ortodossia.
Tra la fine del 1874 e l’inizio del 1875 si inasprì lo scontro con Gaetano Chierici, che durava ormai dal 1871, quando lo studioso
reggiano aveva criticato la Monografia sulla terramara di Gorzano. Chierici, in privato, rinfacciò a Coppi le «plateali insolenze espresse in un linguaggio privo di senso comune»; non del tutto a torto, poiché Coppi si riferì a «qualche altro suo collega, che a lode del vero bisognerebbe compatirlo come cervello degno dell’ospizio di S. Lazzaro».
Coppi ebbe cura di riportare nero su bianco gli scambi epistolari con Chierici in uno scritto del febbraio 1875 su “Gli scavi della terramara di Gorzano eseguiti nel 1874 ed amenità accademiche”
Nel maggio del 1874, si riferì agli oggetti rinvenuti recentemente in questi termini: oltre a «ruderi certi per la presenza di monete ed altri monumenti del periodo romano… si venne trovando un piccolo ammasso di oggetti forse preistorici, o meglio anistorici». La preistoria, categoria ben definita in termini temporali e strutturali, era divenuta anistoria, un termine più evanescente ad indicare una vaga antichità dai contorni incerti, come se lo stesso Coppi ammettesse le proprie difficoltà ad individuare l’origine dei reperti. Dato che Boni ancora dirigeva la rivista della società dei naturalisti,il Coppi si legò ad altre organizzazioni, tra cui la Società Italiana di scienze naturali di Milano, l’Istituto Archeologico Germanico, l’Accademia di Scienze e Arti di Lione e l’Associazione dei Benemeriti Italiani con sede a Palermo. Nel biennio 1880-81 l’università di Modena ufficializzò il ruolo
di libero docente di mineralogia e geologia. Il fatto contribuì a ridurre il suo isolamento, anche se Coppi decise di lasciare l’incarico quasi immediatamente. Nel frattempo, dopo Carlo Boni, nel 1879 alla guida della Società dei Naturalisti era stato nominato Giovanni Generali, il direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Modena. Il suo arrivo coincise con la ripresa della collaborazione da parte di Coppi, che in quegli anni partecipò alle adunanze della società e produsse una serie di articoli per l’«Annuario».
Durante le adunanze della società nella prima metà degli anni Ottanta aprì un ultimo fronte polemico. Bersaglio delle sue critiche fu in particolare Dante Pantanelli, il geologo senese che nel 1882 era stato nominato professore di Geologia e Mineralogia all'università di Modena. Coppi lo accusò, tra le altre cose, di avergli ‘rubato’ l’identificazione di una specie, di aver travisato il senso delle sue parole e, cosa più grave, di incompetenza scientifica: «quantunque si dichiari il Pantanelli in oggi perito della stratigrafia Modenese, vedo però molta incertezza nel suo scritto», scrisse nelle Osservazioni critiche geopaleontologiche del 1885.
Francesco Coppi affrontò per la prima volta il tema della terramara nel 1870, nella
Relazione di una nuova importante scoperta ed osservazioni sulla Terramara di Gorzano.
Per Coppi «Questa località della Terramare fu sempre rispettata e sacra per gli antichi cristiani quale cimitero, ma anche per i Romani». A sostegno della propria tesi citava una vera autorità in materia archeologica come Celestino Cavedoni: in parte, la terramara era costituita da «avanzi di roghi o luogo di cremazione dei cadaveri, come giustamente pretese il nostro omai fu sommo archeologo il Cavedoni ne’ suoi Cenni Archeologici intorno alle Terremare nostrane». Come Cavedoni, Coppi negava il carattere preistorico della terramara: il deposito mariero era stato «originato dagli avanzi de’roghi» e «fu in gran parte almeno, se non in tutto, opera del popolo romano»; queste osservazioni erano state «dedotte dalla realtà dei fatti».
Il Boni aveva criticato Coppi prendendo posizione a favore della teoria degli «avanzi di abitazioni» e mettendo in dubbio la scientificità del lavoro effettuato a Gorzano (per Boni il terreno era stato rimaneggiato, e forse per Coppi non poteva esserci accusa peggiore). Questa loro bagarre avrà gravi effetti per il Coppi, come si vedrà nel 1971 in occasione dell’importantissimo Congresso di Bologna Una sessione italiana del Congresso internazionale (che dal 1866 si era tenuto in Svizzera, Francia, Inghilterra e Danimarca) Bologna fu scelta per la vicinanza ad importanti depositi, tra cui quelli terramaricoli della province di Modena, Reggio e Parma.
Nell'idea degli organizzatori la sessione bolognese rappresentava, anche dal punto di vista politico, la consacrazione della nuova Italia, un paese libero in cui poteva manifestarsi il pensiero laico, e in cui la libertà nazionale diventava la condizione per una autentica libertà della scienza. Per uno studioso legato alla tradizione cattolica come Coppi il Congresso di Bologna deve avere rappresentato uno smacco, e anche l’inizio di un progressivo isolamento. Il convegno infatti sancì la definitiva affermazione di un nuovo paradigma per la ricerca archeologica, ormai decisamente orientata verso le nuove tesi a sostegno delle origini preistoriche dell’uomo.
Scomparso da ormai qualche tempo Celestino Cavedoni, Coppi deve essersi trovato nella posizione di emarginato all’interno della comunità scientifica che sempre più credeva nelle teorie dell’evoluzionismo darwiniano.
Ed è significativo che tra le pubblicazioni scientifiche offerte ai congressisti comparisse proprio l’opuscolo di Boni e Generali sulle terremare modenesi, ma non la Monografia di Coppi, che pure nel 1871 rappresentava lo studio più completo e dettagliato sul tema, almeno dal punto di vista del rigore scientifico e delle osservazioni geologiche.
La Monografia non era citata nemmeno nella relazione ufficiale che accompagnava l’esposizione, dove si faceva il punto sullo stato dei rinvenimenti archeologici in tutta Italia; nel documento si spendeva invece «una speciale parola di lode» per Boni, che peraltro era uno dei componenti della stessa commissione incaricata di preparare la mostra (Il libro di Coppi, ma anche opere di altri autori, era assente pure dalla bibliografia dei lavori preistorici preparata da Pigorini). Evidentemente, le sue tesi erano già mal tollerate dalla nuova ortodossia.
Tra la fine del 1874 e l’inizio del 1875 si inasprì lo scontro con Gaetano Chierici, che durava ormai dal 1871, quando lo studioso
reggiano aveva criticato la Monografia sulla terramara di Gorzano. Chierici, in privato, rinfacciò a Coppi le «plateali insolenze espresse in un linguaggio privo di senso comune»; non del tutto a torto, poiché Coppi si riferì a «qualche altro suo collega, che a lode del vero bisognerebbe compatirlo come cervello degno dell’ospizio di S. Lazzaro».
Coppi ebbe cura di riportare nero su bianco gli scambi epistolari con Chierici in uno scritto del febbraio 1875 su “Gli scavi della terramara di Gorzano eseguiti nel 1874 ed amenità accademiche”
Nel maggio del 1874, si riferì agli oggetti rinvenuti recentemente in questi termini: oltre a «ruderi certi per la presenza di monete ed altri monumenti del periodo romano… si venne trovando un piccolo ammasso di oggetti forse preistorici, o meglio anistorici». La preistoria, categoria ben definita in termini temporali e strutturali, era divenuta anistoria, un termine più evanescente ad indicare una vaga antichità dai contorni incerti, come se lo stesso Coppi ammettesse le proprie difficoltà ad individuare l’origine dei reperti. Dato che Boni ancora dirigeva la rivista della società dei naturalisti,il Coppi si legò ad altre organizzazioni, tra cui la Società Italiana di scienze naturali di Milano, l’Istituto Archeologico Germanico, l’Accademia di Scienze e Arti di Lione e l’Associazione dei Benemeriti Italiani con sede a Palermo. Nel biennio 1880-81 l’università di Modena ufficializzò il ruolo
di libero docente di mineralogia e geologia. Il fatto contribuì a ridurre il suo isolamento, anche se Coppi decise di lasciare l’incarico quasi immediatamente. Nel frattempo, dopo Carlo Boni, nel 1879 alla guida della Società dei Naturalisti era stato nominato Giovanni Generali, il direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Modena. Il suo arrivo coincise con la ripresa della collaborazione da parte di Coppi, che in quegli anni partecipò alle adunanze della società e produsse una serie di articoli per l’«Annuario».
Durante le adunanze della società nella prima metà degli anni Ottanta aprì un ultimo fronte polemico. Bersaglio delle sue critiche fu in particolare Dante Pantanelli, il geologo senese che nel 1882 era stato nominato professore di Geologia e Mineralogia all'università di Modena. Coppi lo accusò, tra le altre cose, di avergli ‘rubato’ l’identificazione di una specie, di aver travisato il senso delle sue parole e, cosa più grave, di incompetenza scientifica: «quantunque si dichiari il Pantanelli in oggi perito della stratigrafia Modenese, vedo però molta incertezza nel suo scritto», scrisse nelle Osservazioni critiche geopaleontologiche del 1885.
Il crepuscolo
A metà degli anni Ottanta, poco più che quarantenne, Coppi si distaccò definitivamente dal mondo che per tanti anni lo aveva visto protagonista. Erano trascorsi vent’anni da quando aveva partecipato alla fondazione della Società dei Naturalisti di Modena. Ora, probabilmente stanco di tante battaglie intellettuali, combattute «contro l’ira di tutti o quasi i paletnologi moderni», come scrisse al fratello Alessandro («Io sono quegli che erra perché seguo le opinioni dell’omai illustre Cavedoni»), scelse di continuare a coltivare il suo interesse per la natura in privato, lontano dai clamori delle accademie e degli istituti. Come il padre molti anni prima, Francesco Coppi si ritirò nella villa di Gorzano, dove, circondato dagli affetti della famiglia – la moglie Adele Parisini e i figli Lorenzo, Giacomo, Nino e Caterina – continuerà a raccogliere e studiare fossili. Molti dei suoi colleghi, nel frattempo, avevano assunto posizioni di rilievo nel mondo della ricerca e nella società italiana. Nel 1870 pubblicò altri due scritti. Il primo era la comunicazione sull’«Annuario» di una «nuova importante scoperta» avvenuta a Gorzano; il secondo era indirizzato ad un pubblico di non specialisti, la Guida popolare da Modena al Cimone ossia idee geo-mineralogiche scientifico-popolari. L’idea di una guida ad uso e consumo del pubblico gli era venuta in seguito ad una escursione compiuta nell’estate del 1869 «in compagnia di erudite persone»: Coppi era partito da Modena, aveva percorso la via Giardini, proseguito per le località montane di Pavullo e Fanano, per raggiungere le vette del Monte Cimone. Da alcuni anni Coppi si era ormai definitivamente ritirato a vita privata nella villa di Gorzano. Da osservatore neutrale delle cose della natura, come tante volte in passato aveva definito se stesso, ora indirizzava il proprio sguardo sulla società umana e le sue leggi. Il Sunto dei doveri dell’uomo ad uso delle scuole elementari comunali di Maranello del 1890 fu la sua ultima opera. Francesco Coppi morì a Gorzano, nella villa di famiglia, il 20 febbraio 1927. Il professor Tito Bentivoglio, socio dei naturalisti modenesi, lo ricordò sull’«Annuario» con queste parole, sottolineandone la «lunga esistenza continuamente dedita allo studio »: «la molteplice attività scientifica di lui espletatasi in più di mezzo secolo di lavoro lo rende degno dell’ammirazione di ogni studioso… In seguito, contrarietà della vita e particolarità di carattere allontanarono il Coppi dalla scuola e dalla comunione della nostra società: continuò invece indefessa l’opera sua di studioso, nella tranquillità della vita famigliare e nello studio, sul luogo, degli attraenti misteri della natura». Era l’omaggio doveroso della Società a uno dei suoi fondatori, certamente il più vivace e combattivo.
Quanto alla scienza preistorica, gli sviluppi della paleontologia nel corso del xx secolo avrebbero ampiamente dimostrato l’esistenza di quelle «fantastiche antiche genti» che Coppi mise ripetutamente in discussione (e sulle quali non spese mai una parola definitiva). La ricerca e la catalogazione dei fossili dell’Appennino modenese da lui compiuta nel corso di oltre venti anni di attività rimane comunque un contributo tra i più significativi alla storia delle scienze naturali del nostro paese. Purtroppo, la sua ricchissima collezione, costituita da migliaia di fossili, non trovò la sistemazione che meritava. Il Museo Civico di Modena riuscì ad ottenere solo una parte dei reperti di Gorzano. Altri finirono a Roma al Museo nazionale preistorico ed etnografico, altri ancora furono messi all'asta ed esportati in seguito in Portogallo ed in Germania. Dopo la sua morte, l’università di Modena acquistò dagli eredi parte delle raccolte, con fossili di varia provenienza ed età, tra cui molte conchiglie dell’Appennino modenese e reggiano, da lui raccolte personalmente, e una serie di esemplari ottenuti grazie agli scambi con altri studiosi: oggi si trovano al Museo di Paleontologia di Modena. Alcuni anni fa il Comune di Maranello ricevette in dono da una sua discendente, Gianna Coppi, parte della raccolta dei fossili, che oggi è stata debitamente catalogata.
Quanto alla scienza preistorica, gli sviluppi della paleontologia nel corso del xx secolo avrebbero ampiamente dimostrato l’esistenza di quelle «fantastiche antiche genti» che Coppi mise ripetutamente in discussione (e sulle quali non spese mai una parola definitiva). La ricerca e la catalogazione dei fossili dell’Appennino modenese da lui compiuta nel corso di oltre venti anni di attività rimane comunque un contributo tra i più significativi alla storia delle scienze naturali del nostro paese. Purtroppo, la sua ricchissima collezione, costituita da migliaia di fossili, non trovò la sistemazione che meritava. Il Museo Civico di Modena riuscì ad ottenere solo una parte dei reperti di Gorzano. Altri finirono a Roma al Museo nazionale preistorico ed etnografico, altri ancora furono messi all'asta ed esportati in seguito in Portogallo ed in Germania. Dopo la sua morte, l’università di Modena acquistò dagli eredi parte delle raccolte, con fossili di varia provenienza ed età, tra cui molte conchiglie dell’Appennino modenese e reggiano, da lui raccolte personalmente, e una serie di esemplari ottenuti grazie agli scambi con altri studiosi: oggi si trovano al Museo di Paleontologia di Modena. Alcuni anni fa il Comune di Maranello ricevette in dono da una sua discendente, Gianna Coppi, parte della raccolta dei fossili, che oggi è stata debitamente catalogata.
Isypedia by Isabella Massamba is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.