Le Terramare
Nella Pianura Padana centrale, tra Cremona e Mantova, Parma e Bologna sono state ritrovate circa 200 terramare. Si tratta dei resti di villaggi, databili fra il 1650 e il 1170 circa a. C., circondati da un fossato e da un terrapieno. Complessivamente gli abitanti di questi villaggi dovevano essere tra 150.000 e 200.000. I villaggi potevano essere piccoli, delle dimensioni di un ettaro (1 ettaro = 10.000 mq) o grandi fino a 20 ettari. All’interno del terrapieno le abitazioni erano disposte in modo ordinato, spesso erano costruite su piattaforme rialzate sostenute da palificazioni, forse un modo per isolarle dall’umidità. Una organizzazione di questo tipo presuppone che gli abitanti del villaggio si aiutassero per i lavori comuni, come la costruzione del fossato, del terrapieno e, probabilmente, delle case. Doveva essere divertente vivere su queste case sopraelevate circondate da un terrapieno e una palizzata come in un fortino. Oggi è possibile provare l’emozione di entrare in uno di questi villaggi, basta andare a Montale Rangone dove, in un bel museo all’aperto, due palafitte sono state ricostruite e arredate con oggetti copiati da quelli trovati negli scavi. Nelle terramare, le operazioni di vita quotidiana dei loro abitanti avevano provocato l’accumulo di strati e strati di materiali: oggetti di uso comune integri oppure gettati come rifiuti.
Così, quando i villaggi sono stati abbandonati, nel piatto paesaggio padano emergevano queste basse collinette, ricche di sostanza organica. All’inizio del 1800, i contadini si resero conto che il terreno che costituiva queste collinette poteva essere usato come concime e iniziarono a scavarlo e trasportarlo nei campi. Il terriccio veniva chiamato «marna» e con il termine «terramara» si identificavano le cave dove questo materiale veniva estratto. Solo dopo il 1860 gli studiosi iniziarono a intensificare le ricerche scientifiche sulla preistoria e si resero conto della vera origine di questi villaggi, attribuibili all’età del bronzo: da allora il termine «terramara» fu utilizzato per indicarequesti abitati.
PER SAPERNE DI PIU' PUOI LEGGERE ANCHE:
XLV Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria: Le comunità di villaggio dell’età del bronzo
Modena, Parco Archeologico della Terramara di Montale: clicca per scaricare le schede didattiche in Pdf
LA LINEA DEL TEMPO
L'ETA' DEL BRONZO
LE TERRAMARE
LA TERRAMARA DI MONTALE: STORIA DI UN SITO ARCHEOLOGICO
QUADERNO DIDATTICO
Reggio Emilia Museo della Terramara Santa Rosa
Così, quando i villaggi sono stati abbandonati, nel piatto paesaggio padano emergevano queste basse collinette, ricche di sostanza organica. All’inizio del 1800, i contadini si resero conto che il terreno che costituiva queste collinette poteva essere usato come concime e iniziarono a scavarlo e trasportarlo nei campi. Il terriccio veniva chiamato «marna» e con il termine «terramara» si identificavano le cave dove questo materiale veniva estratto. Solo dopo il 1860 gli studiosi iniziarono a intensificare le ricerche scientifiche sulla preistoria e si resero conto della vera origine di questi villaggi, attribuibili all’età del bronzo: da allora il termine «terramara» fu utilizzato per indicarequesti abitati.
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LA LINEA DEL TEMPO
L'ETA' DEL BRONZO
LE TERRAMARE
LA TERRAMARA DI MONTALE: STORIA DI UN SITO ARCHEOLOGICO
QUADERNO DIDATTICO
Reggio Emilia Museo della Terramara Santa Rosa
La Terramara di Gorzano
Per approfondire questo tema leggi: «Monografia ed Iconografia», una rivisitazione degli scavi di Gorzano attraverso gli scritti di Francesco Coppi
e dei suoi contemporanei scritto da Gianluca Pellacani
© 2007 Comune di Maranello
Sezione e planimetria della «terramara» di Gorzano rilevate nel 1867
Francesco Coppi iniziò ad occuparsi delle Terramare per la fortunata coincidenza che una di queste si trovava sui terreni di suo fratello vicino alla villa di famiglia a Gorzano. Si trattava di una terramara tra le più piccole, meno di un ettaro di superficie, e già da alcuni anni erano iniziati gli scavi per prelevare concime. Gli oggetti che gli operai trovavano scavando venivano accatastati ai lati dello scavo: in realtà erano reperti archeologici preziosissimi.
Il Coppi iiniziò a raccogliere questo materiale e a studiarlo, ma si rese subito conto che, se voleva fare uno studio serio, non poteva lasciare che procedessero in quel modo. Così, fatto inconsueto per uno studioso del tempo, decise di lavorare personalmente allo scavo e passare in un setaccio tutto il materiale di riporto per raccogliere anche i più piccoli reperti: fibbie, spille, anelli, monete... Man mano che trovava qualcosa prendeva appunti anche sulla posizione e la profondità in cui il reperto era stato trovato.
Sarà stata una scena curiosa per gli operai addetti agli scavi vedere il professor Francesco Coppi al lavoro, alle prese con badili e setacci in mezzo ad un campo, una immagine ben diversa dal classico studioso chino sui libri nel suo studio. Ma Coppi non era uno da badare a questi particolari, voleva trovare tutti i reperti e collocarli nel modo giusto e da scontroso e puntiglioso qual’era, la persona più affidabile per fare tutto questo era lui stesso.
Nessuno ai suoi tempi fece un lavoro tanto preciso e sistematico sulle Terramare, eppure Francesco Coppi non era un archeologo, ma un naturalista: forse proprio per questo riuscì ad essere tanto preciso e a non dare nulla per scontato.
Su questo tema scrisse libri dettagliatissimi, apprezzati da tutti gli studiosi del tempo, corredati dai precisissimi disegni del fratello Giovanni: persino uno studioso svedese ne fece uso, tanto erano fedeli alla realtà. Alla fine delle ricerche la sua collezione era composta da centinaia di reperti, tra cui vasi, strumenti metallici, pesi, fusaiole e resti di scheletri di animali più o meno lavorati. Di tutto questo patrimonio proveniente dalla terramara di Gorzano solo una parte è finita al Museo Civico di Modena; molti reperti finirono a Roma al Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico «Luigi Pigorini», altri ancorafurono messi all’asta ed esportati in Portogallo ed in Germania. L’attenzione che Francesco Coppi prestò alle terramare rispecchia l’interesse del tempo verso questo argomento. In particolare intorno alla spiegazione dell’origine delle terramare: lo stesso termine «preistoria» era ancora in discussione perché si dubitava del fatto che fosse esistito un periodo precedente alla storia propriamente detta.
Francesco Coppi, prendendo spunto dalle opinioni del professore Don Celestino Cavedoni, riteneva che le terramare fossero luoghi di culto, di età romana, in cui venivano praticati riti funebri come la cremazione dei cadaveri, e non un villaggio antico su palafitte come sostenevano alcuni suoi contemporanei. Per palafitta si intende una costruzione su pali con sotto dell’acqua. Francesco Coppi sulla base delle sue osservazioni di tipo geologico era convinto che sotto quelle antiche capanne non potesse esserci stata dell’acqua di sorgente o di passaggio, ma pensava che potesse esserci stata dell’acqua nel fossato intorno al villaggio a scopo difensivo. Su questo argomento la sua interpretazione risultò quella corretta.
Il Coppi iiniziò a raccogliere questo materiale e a studiarlo, ma si rese subito conto che, se voleva fare uno studio serio, non poteva lasciare che procedessero in quel modo. Così, fatto inconsueto per uno studioso del tempo, decise di lavorare personalmente allo scavo e passare in un setaccio tutto il materiale di riporto per raccogliere anche i più piccoli reperti: fibbie, spille, anelli, monete... Man mano che trovava qualcosa prendeva appunti anche sulla posizione e la profondità in cui il reperto era stato trovato.
Sarà stata una scena curiosa per gli operai addetti agli scavi vedere il professor Francesco Coppi al lavoro, alle prese con badili e setacci in mezzo ad un campo, una immagine ben diversa dal classico studioso chino sui libri nel suo studio. Ma Coppi non era uno da badare a questi particolari, voleva trovare tutti i reperti e collocarli nel modo giusto e da scontroso e puntiglioso qual’era, la persona più affidabile per fare tutto questo era lui stesso.
Nessuno ai suoi tempi fece un lavoro tanto preciso e sistematico sulle Terramare, eppure Francesco Coppi non era un archeologo, ma un naturalista: forse proprio per questo riuscì ad essere tanto preciso e a non dare nulla per scontato.
Su questo tema scrisse libri dettagliatissimi, apprezzati da tutti gli studiosi del tempo, corredati dai precisissimi disegni del fratello Giovanni: persino uno studioso svedese ne fece uso, tanto erano fedeli alla realtà. Alla fine delle ricerche la sua collezione era composta da centinaia di reperti, tra cui vasi, strumenti metallici, pesi, fusaiole e resti di scheletri di animali più o meno lavorati. Di tutto questo patrimonio proveniente dalla terramara di Gorzano solo una parte è finita al Museo Civico di Modena; molti reperti finirono a Roma al Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico «Luigi Pigorini», altri ancorafurono messi all’asta ed esportati in Portogallo ed in Germania. L’attenzione che Francesco Coppi prestò alle terramare rispecchia l’interesse del tempo verso questo argomento. In particolare intorno alla spiegazione dell’origine delle terramare: lo stesso termine «preistoria» era ancora in discussione perché si dubitava del fatto che fosse esistito un periodo precedente alla storia propriamente detta.
Francesco Coppi, prendendo spunto dalle opinioni del professore Don Celestino Cavedoni, riteneva che le terramare fossero luoghi di culto, di età romana, in cui venivano praticati riti funebri come la cremazione dei cadaveri, e non un villaggio antico su palafitte come sostenevano alcuni suoi contemporanei. Per palafitta si intende una costruzione su pali con sotto dell’acqua. Francesco Coppi sulla base delle sue osservazioni di tipo geologico era convinto che sotto quelle antiche capanne non potesse esserci stata dell’acqua di sorgente o di passaggio, ma pensava che potesse esserci stata dell’acqua nel fossato intorno al villaggio a scopo difensivo. Su questo argomento la sua interpretazione risultò quella corretta.
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