Le foglie fossili della collezione Coppi conservate nel Museo di Paleontologia
dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Coppi (Modena, 1843-1927), libero docente di Mineralogia e Geologia presso l’Università di Modena, incluse nella sua vastissima collezione, per la maggior parte risalenti al Terziario, esemplari fossili animali, soprattutto invertebrati marini, e vegetali. Tali fossili sono una importante testimonianza delle epoche in cui la Pianura Padana era invasa dal mare.
Parte della Collezione Coppi è attualmente conservata presso il Museo di Paleontologia del Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Di straordinaria bellezza, le foglie fossili o filliti di questa collezione sono divenute oggetto di questo lavoro paleobotanico che è stato svolto lo scopo, da un lato, di dare un contributo alla conoscenza della flora del Tardo Neogene in Italia settentrionale e dall'altro, con l’ausilio dei fossili macroscopici e microscopici (foglie e sporomorfi) e degli studi geologici nel territorio di San Venanzio, di ottenere una ricostruzione paleoambientale di quest’area.
La mia tesi di dottorato in Paleontologia è stato il punto di partenza del mio collegamento con Francesco Coppi e la sua famiglia.
Decisa a studiare le piante anche se si parlava di fossili, nel 2002, subito dopo la laurea, feci una visita al Museo di Paleontologia dell'Università di Modena in cerca di materiale interessante e non appena mi mostrarono le foglie fossili della Collezione Coppi, decisi che sarebbero state un ottimo modo di fare ricerca restando collegata al territorio e valorizzare il lavoro di un Naturalista dimenticato nei cassetti polverosi del Museo.
In Italia, gli esemplari fossili pliocenici non sono rari, e fin dal diciannovesimo secolo numerosi autori si occuparono, proprio in Italia, di suggerire una collocazione sistematica delle filliti esaminate. Importantissimi sono i lavori di Massalongo e Scarabelli (1839), PAOLO PRINCIPI (1942), che nelle “Flore del Neogene” fà una panoramica delle florule Mioceniche e Plioceniche a filliti fino ad allora ritrovate nel modo e quindi una ricostruzione della vegetazione e del clima. In questo contesto, grande interesse assume la collezione di foglie fossili che Francesco Coppi raccolse alla fine del diciottesimo secolo nelle Marne Piacenziane di San Venanzio (Maranello) nella Provincia Modenese dell’Appennino Settentrionale.
Le foglie fossili, tutte riportanti l’etichetta originale del Coppi e provenienti dalla località di San Venanzio, nei pressi di Maranello, sono state ripulite e suddivise in determinabili ed indeterminabili a seconda dello stato di conservazione; le prime sono poi state disegnate allo stereomicroscopio e studiate accuratamente per giungere ad una collocazione sistematica più precisa possibile. Dal punto di vista geologico la sezione in cui Coppi ha con ogni probabilità ritrovato le filliti appartiene alla Formazione delle Argille azzurre (Pliocene inferiore - Pleistocene inferiore).
La sedimentazione in questo tipo di materiale, prevalentemente argillo-siltosa, è relativamente rapida ed è avvenuta in un ambiente neritico infralitorale di piattaforma. La monotona successione di peliti bioturbate suggerisce un’ampia area marina protetta (golfo, sacca, baia), con acque non soggette ad eventi parossistici e particolarmente intensi (mareggiate, piene fluviali catastrofiche, maree di grande ampiezza). Una laguna tranquilla insomma, dove le foglie si sono accumulate trasportate dai fiumi che attraversavano le foreste presenti sulla terra emersa circostante più di tre milioni di anni fa. Un esempio delle piante che formavano tali foreste lo eccolo nelle foto qui sotto, in cui potete leggere la determinazione a cui sono giunta dopo essere stata a studiare come fare questo lavoro presso lo Szafer Insitute of Botany a Cracovia, con la Professoressa Eva Zastawniak.
Parte della Collezione Coppi è attualmente conservata presso il Museo di Paleontologia del Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Di straordinaria bellezza, le foglie fossili o filliti di questa collezione sono divenute oggetto di questo lavoro paleobotanico che è stato svolto lo scopo, da un lato, di dare un contributo alla conoscenza della flora del Tardo Neogene in Italia settentrionale e dall'altro, con l’ausilio dei fossili macroscopici e microscopici (foglie e sporomorfi) e degli studi geologici nel territorio di San Venanzio, di ottenere una ricostruzione paleoambientale di quest’area.
La mia tesi di dottorato in Paleontologia è stato il punto di partenza del mio collegamento con Francesco Coppi e la sua famiglia.
Decisa a studiare le piante anche se si parlava di fossili, nel 2002, subito dopo la laurea, feci una visita al Museo di Paleontologia dell'Università di Modena in cerca di materiale interessante e non appena mi mostrarono le foglie fossili della Collezione Coppi, decisi che sarebbero state un ottimo modo di fare ricerca restando collegata al territorio e valorizzare il lavoro di un Naturalista dimenticato nei cassetti polverosi del Museo.
In Italia, gli esemplari fossili pliocenici non sono rari, e fin dal diciannovesimo secolo numerosi autori si occuparono, proprio in Italia, di suggerire una collocazione sistematica delle filliti esaminate. Importantissimi sono i lavori di Massalongo e Scarabelli (1839), PAOLO PRINCIPI (1942), che nelle “Flore del Neogene” fà una panoramica delle florule Mioceniche e Plioceniche a filliti fino ad allora ritrovate nel modo e quindi una ricostruzione della vegetazione e del clima. In questo contesto, grande interesse assume la collezione di foglie fossili che Francesco Coppi raccolse alla fine del diciottesimo secolo nelle Marne Piacenziane di San Venanzio (Maranello) nella Provincia Modenese dell’Appennino Settentrionale.
Le foglie fossili, tutte riportanti l’etichetta originale del Coppi e provenienti dalla località di San Venanzio, nei pressi di Maranello, sono state ripulite e suddivise in determinabili ed indeterminabili a seconda dello stato di conservazione; le prime sono poi state disegnate allo stereomicroscopio e studiate accuratamente per giungere ad una collocazione sistematica più precisa possibile. Dal punto di vista geologico la sezione in cui Coppi ha con ogni probabilità ritrovato le filliti appartiene alla Formazione delle Argille azzurre (Pliocene inferiore - Pleistocene inferiore).
La sedimentazione in questo tipo di materiale, prevalentemente argillo-siltosa, è relativamente rapida ed è avvenuta in un ambiente neritico infralitorale di piattaforma. La monotona successione di peliti bioturbate suggerisce un’ampia area marina protetta (golfo, sacca, baia), con acque non soggette ad eventi parossistici e particolarmente intensi (mareggiate, piene fluviali catastrofiche, maree di grande ampiezza). Una laguna tranquilla insomma, dove le foglie si sono accumulate trasportate dai fiumi che attraversavano le foreste presenti sulla terra emersa circostante più di tre milioni di anni fa. Un esempio delle piante che formavano tali foreste lo eccolo nelle foto qui sotto, in cui potete leggere la determinazione a cui sono giunta dopo essere stata a studiare come fare questo lavoro presso lo Szafer Insitute of Botany a Cracovia, con la Professoressa Eva Zastawniak.
Sulla base dell’analisi morfologica e del confronto con le collezioni fossili presenti a Cracovia e al Museo dell terra di Varsavia, le filliti sono state attribuite alle famiglie di Pinaceae, Taxodiaceae, Corylaceae, Juglandaceae, Rosaceae, Ulmaceae e Fagaceae. Quest’ultima è risultata essere la più rappresentata con 37 esemplari appartenenti al genere Quercus , 4 delle quali identificate come Quercus roburoides Gaudin, e 4 come Quercus praeerucifolia Straus. Importantissimo è stato l’aver potuto determinare due filliti in particolare: quelle che rispondono ai genera Carya sp. e Pterocarya paradisiaca (Ung.) Ilijnskaja (Fig.1), apparteneti alla Famiglia delle Juglandaceae e classificate dal Coppi come Ulmacee: oggi esse hanno un areale di distribuzione molto differente, sopravvivendo soltanto in alcune aree di Asia e Nord America. Nel Pliocene la flora europea conserva numerosi rapporti con quella dell’America Settentrionale, ed a tale proposito è opportuno rilevare come parecchie forme plioceniche europee si trovano attualmente a far parte delle grandi foreste Americane. Ma a costituire la flora Pliocenica dell’Europa concorrono anche dei tipi caucasici e Giapponesi, che stabiliscono affinità abbastanza notevoli tra la flora pliocenica del nostro continente e quella dell’estremo oriente.
Esempio: la foglia di Pterocarya.
Nel primo appenino modenese nel Pliocene vivevano piante che oggi sono completamente estinte nel nostro continente e troviamo invece nelle foreste dell'Asia. Una di queste è la Pterocarya paradisiaca, la cui presenza testimonia che tre milioni di anni fa la temperatura non scendeva mai sotto 5 °C.
Secondo KIRCHHEIMER, Pterocarya è tra le forme più importanti che caratterizzano le flore plioceniche dell’Europa Centrale (PRINCIPI, 1942). Pterocarya oggi è autoctona unicamente in Giappone e nel Caucaso, e preferisce terreni umidi, frequentemente inondati, e anche se sensibile alle gelate, sopporta anche inverni freddi. Carya oggi è presente in Nord America e predilige un clima fresco, con estatinon troppo calde.
Tutte queste informazioni, fornite l’identificazione della flora presente sulle Colline di San Venanzio durante il Pliocene, saranno preziose per dare un’istantanea dell’ambiente e del clima presenti sull’Appennino Emiliano a quell’epoca, oltre che a darci la possibilità di tentare di collocare con una maggiore precisione questi reperti nel corso del Pliocene. Questo potrebbe confermare le elaborazioni del PRINCIPI, al quale, nel suo studio delle flore del Neogene: “risulta evidente come in tutte le flore plioceniche dell’Emilia siano ancora abbastanza diffusi gli elementi del clima caldo e di origine miocenica: il che sta a dimostrare come il clima del Pliocene nell’Italia Centrale, per ragioni di latitudine, doveva aver subito un raffreddamento alquanto meno accentuato di quello che caratterizza Francia Meridionale ed Europa Centrale”.
Tutte queste informazioni, fornite l’identificazione della flora presente sulle Colline di San Venanzio durante il Pliocene, saranno preziose per dare un’istantanea dell’ambiente e del clima presenti sull’Appennino Emiliano a quell’epoca, oltre che a darci la possibilità di tentare di collocare con una maggiore precisione questi reperti nel corso del Pliocene. Questo potrebbe confermare le elaborazioni del PRINCIPI, al quale, nel suo studio delle flore del Neogene: “risulta evidente come in tutte le flore plioceniche dell’Emilia siano ancora abbastanza diffusi gli elementi del clima caldo e di origine miocenica: il che sta a dimostrare come il clima del Pliocene nell’Italia Centrale, per ragioni di latitudine, doveva aver subito un raffreddamento alquanto meno accentuato di quello che caratterizza Francia Meridionale ed Europa Centrale”.
Le foglie fossili della collezione Coppi conservate presso il Comune di Maranello
Per saperne di più...
Isypedia by Isabella Massamba is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.